lunedì 11 giugno 2018

TRA MOSCA E SAN PIETROBURGO: VIAGGIO NEL CUORE DELLA GRANDE RUSSIA





















La Russia si prepara agli imminenti Mondiali di calcio e, anche per questo motivo, cerca di darsi un’immagine di Paese efficiente e ordinato. Balza subito all’occhio come, in confronto a metropoli nostrane quali Milano o Roma, sia meno frequente trovare le vie di Mosca e San Pietroburgo in preda al degrado o alla presenza di persone che vivono ai margini della società. Pulizia delle strade e un capillare controllo delle forze dell’ordine sono tra i fattori che impediscono questi fenomeni, congiuntamente ad un efficiente servizio di mezzi pubblici. A questo proposito la frequenza delle corse delle reti metropolitane di Mosca e San Pietroburgo può arrivare al massimo a quattro minuti nelle ore notturne. E’ da evidenziare poi come alcune delle fermate siano delle vere e proprie opere d’arte. La rete di questi mezzi risale agli anni ’50 ai tempi dell’Unione Sovietica: in quel periodo, per esaltare il cosiddetto “realismo socialista”, nelle banchine d’attesa della metropolitana di Mosca e San Pietroburgo furono realizzati infatti una serie di mosaici e statue relative a episodi salienti della storia russa. Peraltro il costo dei biglietti è abbastanza basso perché si va dai 55 rubli (circa 80 centesimi di ) di Mosca ai 45 rubli (circa 65 centesimi di €) di San Pietroburgo per una singola corsa in metro. E, in generale, anche per i beni di consumo i prezzi per un turista italiano sono mediamente più che abbordabili, a maggior ragione se si tiene presente che ci si trova dinanzi ad alcuni dei più noti e affascinanti luoghi del Pianeta. Siti storici come la celeberrima e monumentale Piazza Rossa comprendente la Cattedrale di San Basilio, il Cremlino e Il Mausoleo di Lenin per la Capitale, il Museo Ermitage, il Palazzo d’Inverno e la fortezza dei Santi Pietro e Paolo per la vecchia Leningrado, solo per citarne alcuni.

 I ritmi di queste due enormi città sono leggermente diversi rispetto alle metropoli italiane: i musei aprono alle 10 di mattina, sono visitabili fino alle 21 anche durante la settimana, e, forse anche complice la chiusura delle scuole a fine maggio, si possono trovare tante persone intente a camminare lungo le vie in piena notte, soprattutto a San Pietroburgo. Quest’ultima è una metropoli in cui ad inizio giugno il sole tramonta verso le undici di sera e il cielo non scurisce mai del tutto. In quanto a tradizioni si possono cogliere alcune rilevanti caratterizzazioni in ambito religioso, visto che in Russia la grande maggioranza della popolazione segue il rito ortodosso. I fedeli nelle chiese si fanno il segno della croce in modo diverso rispetto ai cattolici ed è più frequente trovare le donne con la testa velata impegnate a svolgere riti particolari come lo spargimento di erba sui pavimenti delle chiese in occasione delle celebrazioni della Pentecoste.
 Alcune sostanziali differenze tra Mosca e San Pietroburgo si possono tuttavia immediatamente rintracciare: nella Capitale ex sovietica è assai frequente trovare indicazioni stradali o dei mezzi pubblici solo in cirillico a differenza della vecchia Leningrado, nella quale si trovano informazioni anche in alfabeto latino. Per tutti coloro che non parlano la lingua di Puskin, Mosca presenta quindi maggiori difficoltà a trovare l’orientamento. La Capitale poi si presenta agli occhi dei visitatori stranieri come la rappresentazione simbolo della storia e della cultura slava, cuore pulsante della Madrepatria, caratterizzata da continui richiami all’orgoglio nazionale: al monumento del Milite Ignoto al cambio della guardia ogni giorno i soldati marciano in un modo particolare alzando molto le gambe, riproducendo il passo dell’oca. Inoltre lo scorso 28 maggio nello stesso luogo si è svolta la celebrazione della giornata delle guardie di frontiera con deposizione di corone e fiori al monumento e un’imponente sfilata delle guardie.
 La ex Leningrado è città più “occidentale” e cosmopolita, tuttavia non mancano anche qui numerosi richiami alla grande storia Patria. Fra le peculiarità di questa metropoli ci sono le monete o gettoni chiamati token che vengono usati come biglietti della metropolitana, da inserire ai tornelli per potervi accedere. Invece sui pullman ci sono i venditori dei biglietti e il costo varia dai 40 rubli (55 centesimi) agli 80 rubli (1 euro e 10 centesimi) se si va fuori dalla città. Vi è poi la possibilità di fare giri turistici in carrozze che sono costruite come quelle del XVIII o XIX secolo con l’occasione di scattare foto-souvenir in compagnia di persone in costume vestiti come i nobili dell’antico Impero Zarista, un po’ come accadeva a Roma con i gladiatori. Tra le attrazioni imperdibili non si possono non menzionare le escursioni in battello lungo la Neva, anche notturne in occasione dell’apertura di alcuni ponti di San Pietroburgo, un momento partecipato da parte dei turisti perché l’apertura avviene con luci e musica a fare da splendido contorno.
 Infine per gli amanti della buona cucina un rapido accenno ad alcune delle principali tradizioni culinarie russe: le caratteristiche zuppe con verdure, la minestra Borsch a base di barbabietola (originaria dell’Ucraina), ma la variante russa, in base a quanto ci è stato detto, prevede l’uso di verdure come cavoli, broccoli, carote, patate a base di panna acida. Poi ci sono i Varenyki equivalenti dei Pieroghi, una portata di lontana origine polacca. Si tratta di ravioli che possono avere un ripieno sia salato sia dolce, spesso assieme a questa pasta viene fornita una panna acida che si chiama Smetana.
 Finito il nostro resoconto si può sottolineare come le due grandi metropoli ex sovietiche abbiano entrambe attinto alla cultura europea, riuscendo tuttavia a conservare caratteristiche e peculiarità proprie in grado di darle un fascino unico e renderle agli occhi del visitatore occidentale un mix di incantevole bellezza.   

domenica 29 ottobre 2017

"Voting Machine, cos'era costei?!"

La novità rappresentata dal voto elettronico utilizzato per il referendum sull’autonomia lombarda raccontata dal di dentro: un presidente di seggio, nostro collaboratore, ci descrive infatti la sua esperienza personale, i vantaggi e gli svantaggi del nuovo sistema e, in particolare, i segreti del nuovo meccanismo rispetto a quello "tradizionale" costituito da matita e scheda elettorale.

L’E-voting in Lombardia nel referendum dello scorso 22 ottobre è stato una prima assoluta per il nostro Paese. A conti fatti l’esperimento ha avuto lati positivi e negativi. I problemi più grossi sono stati il sabato (pomeriggio dedicato tradizionalmente all'allestimento dei seggi) per quelle sezioni che erano state sorteggiate per avere, oltre ai tablet per il voto elettronico anche gli auditkit, vale a dire le stampanti collegate alle cabine che alla chiusura dei seggi hanno stampato l’esito della consultazione. Pensate che in alcuni casi, per dei malfunzionamenti degli auditkit durante le operazioni del sabato, i componenti del seggio hanno finito di lavorare a sera inoltrata, addirittura i meno fortunati alle 23. Da quanto è emerso sembra che i tecnici, che altro non erano che dei giovani scelti da un’agenzia interinale, non siano stati in grado di risolvere gli intoppi, anche perché la preparazione fornita loro era stata molto sommaria. Sempre nella giornata di sabato, qualche piccola seccatura c’è stata per l’accensione e il collegamento dei tablet – che, a parer mio, avrebbero potuto già essere posizionati all’interno delle cabine - senza contare le altre consuete operazioni di allestimento del seggio. Certo, su internet c’era materiale esplicativo in abbondanza (video, manuali ecc..), anche esauriente, ma in caso si fossero verificati problemi anche alle Voting Machine dopo l’accensione e nel corso della diagnostica, i già citati tecnici si sarebbero trovati nuovamente spaesati. In sostanza in alcuni casi si è corso il serio rischio di bloccare le operazioni del sabato.
Da ultimo c’era da sigillare lo sportello delle Voting Machine, in cui erano state collegate le chiavette USB approntate per la raccolta dei voti, e compilare un verbale in cui bisognava fare l’inventario del materiale trovato in ogni singola scatola in cui erano stati messi i tablet. A mio giudizio le operazioni da fare sulle Voting Machine non erano trascendentali, ma, assieme a quelle consuete che si facevano in precedenza, dal punto di vista numerico diventavano numerose a tal punto che a qualche presidente di seggio sarà probabilmente venuto il mal di testa.

La domenica, invece, problemi di grossa rilevanza non ce ne sono stati, se si eccettua qualche persona anziana che chiedeva aiuto, una volta dentro la cabina, per le modalità attraverso le quali esprimere il proprio voto ("Nun saccio leggere, “non so cosa fare”). E’ anche vero, tuttavia, che l’affluenza non è stata elevata (38,34% per l'intera Regione, solo il 31% per Milano città metropolitana!), per cui non si può sapere con esattezza se ci sarebbero state difficoltà maggiori in caso di consultazioni più importanti (elezioni politiche, amministrative ecc..). Un piccolo rilievo si può fare sulla modalità di registrazione dell’elettore che aveva appena espresso il suo suffragio, perché, siccome non era necessario portare la tessera elettorale al seggio, ma era sufficiente esibire un documento d’identità, questa volta bisognava compilare una ricevuta da consegnare su cui c’erano da riportare i dati personali del votante (nome, cognome, data di nascita, numero della sezione). Un’operazione che si è rivelata più lunga rispetto a quella usuale in cui, su un registro apposito, bisognava semplicemente scrivere il numero della tessera elettorale. Infine l’attesa per la riconsegna delle chiavette Usb collegate alle Voting Machine da parte degli uffici elettorali ha causato maggiori disagi nei comuni più grandi come Milano, mentre in quelli più piccoli si è dovuto aspettare non tantissimo (al massimo mezz’ora). 
In conclusione ci sono sicuramente aspetti da migliorare, in primis il problema della restituzione delle pen-drive a Milano con conseguente ritardo nella comunicazione dei risultati, e anche la compilazione delle ricevute agli elettori, ma il sistema ha anche alcuni punti di forza, come lo scrutinio immediato e l’impossibilità da parte dei rappresentanti di lista di contestare l’esito del voto al momento dello spoglio.    

martedì 20 giugno 2017

PECHINO, DOVE ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO


Un nostro inviato è stato recentemente a Pechino: le vorticose trasformazioni della millenaria capitale della Cina viste in prima persona tra modernità e tradizione


“La Cina è vicina”, questo è lo slogan con il quale, sempre più frequentemente, ci si riferisce a questo grande paese asiatico. Si può parlare di vicinanza non solo per la numerosa e radicata presenza cinese nella penisola italiana, ma anche perché la “Terra di Centro” (termine con il quale la Cina è chiamata dai suoi abitanti) ha raggiunto uno sviluppo economico e un benessere diffuso che ha portato la sua popolazione urbana a vivere come noi occidentali. Questo lo si può facilmente desumere, se ci si reca in viaggio a Pechino, fin dal primo impatto con lo skyline della Capitale dove si stagliano palazzi imponenti, di altezza simile o superiore a quelli delle più importanti metropoli europee e americane. A Pechino e dintorni sono enormi alcuni luoghi simbolo della città, come Piazza Tienanmen, i templi di Confucio e di Lama, il Palazzo del Cielo e altri antichissimi edifici sacri, oltre alla Grande Muraglia, raggiungibile più velocemente a Mutianyu, una località distante dalla Capitale circa 70 chilometri. Per una parte di queste celeberrime attrazioni sono necessarie diverse ore di visita e ben presto si possono cogliere le profonde differenze di questi luoghi rispetto a quelli delle nostre città. Gran parte dei monumenti infatti, in primis quelli sacri, seguono dei profili architettonici caratteristici diversi da quelli occidentali. Come anticipato, fatta eccezione per qualche piccola sacca di povertà, circoscrivibile alla presenza di qualche mendicante nelle strade e nei vicoli stretti del centro (Hutong) in cui gli abitanti di questi quartieri sono ancora costretti ad utilizzare i bagni pubblici, i pechinesi vivono all’“occidentale”. Ad esempio se si prende la metropolitana è facile notare che una parte dei passeggeri è costantemente intenta ad usare il proprio cellulare, proprio come ormai avviene regolarmente nei mezzi pubblici di Milano. In aggiunta la metro della Capitale è tecnologica, ha prezzi convenienti ed è facile acquistare i biglietti, a differenza che nelle nostre principali città, dove nei distributori automatici è difficile capire le tariffe di cui si ha bisogno. Infine sono da menzionare alcune singolarità in ambito culinario della Cina: i piatti tipici sono, oltre al riso, l’anatra arrosto, la cui carne è molto simile a quella del pollo, e altri animali che mai ci immagineremmo di mangiare come scorpioni, cavallette o blatte, anche se il consumo di questi cibi tra i cinesi è limitato, e per certi versi sono più i turisti occidentali a voler “provare” nuovi gusti. Peraltro nei ristoranti di Pechino i prezzi risultano più abbordabili rispetto a quelli italiani. Ad esempio, in locali rinomati è molto facile arrivare a spendere al massimo 10-11 euro a testa. Last but not least è da sottolineare la disponibilità dei cinesi che, in genere, sono sempre pronti ad aiutarti quando chiedi loro delle informazioni, nonostante in certi casi conoscano solo il mandarino e non parlino inglese. Del resto cordialità e ospitalità sono da secoli nobili tratti distintivi del popolo cinese. 

venerdì 6 gennaio 2017

MEDIA E INFORMAZIONE: UNA REALTA’ DA PRENDERE SEMPRE PIU’ CON LE MOLLE

Poter usufruire mediante un semplice click di aggiornamenti in tempo reale provenienti dai quattro angoli del globo stando comodamente seduti in poltrona o in metropolitana è sicuramente una delle più straordinarie conquiste e innovazioni dell'epoca in cui viviamo. Conseguenza inevitabile di una società che deve consumare tutto alla velocità della luce (notizie, ma anche mode, costumi, canzoni, ecc.) è che ci sia una vasta rete di mass media in grado di riprendere novità, diffondere nuove tendenze, arrivando alle persone il più rapidamente possibile non solo per informarle, ma, sovente per indirizzarle nei modi di pensare e di agire. È infatti ben noto al grande pubblico l'aforisma del magnate dell'informazione Charles Foster Kane nel capolavoro di Orson Welles, 'Quarto potere' (1941): 'io sono un'autorità su come far pensare la gente. Ci sono i giornali per esempio, sono proprietario di molti giornali da New York a San Francisco...'. A distanza di settantacinque anni il tutto risulta ovviamente assai più amplificato e complesso.
Oggi, come e più di allora infatti, bruciare le tempistiche è diventata sempre più una necessità pressante e inaggirabile, vista anche la serrata competizione tra televisioni, siti internet, emittenti radiofoniche e quotidiani per catturare i lettori e gli ascoltatori, tuttavia la divulgazione delle notizie dovrebbe sempre essere ponderata oltre che istantanea, senza che la velocità vada ineluttabilmente a detrimento della veridicità, dell'accuratezza quando non, addirittura, del buon senso. Se, infatti, le elementari norme deontologiche dell'informazione non vengono rispettate perché sacrificate alla logica deIl'audience il risultato ultimo è che, travolti come quotidianamente siamo da una spropositata quantità di notizie non sappiamo più, in quanto opinione pubblica, nemmeno a quali fonti affidarci per poter conferire un certificato grado di affidabilità a quanto leggiamo e ascoltiamo. In sostanza la ‘overdose’ mediatica quotidiana cui siamo sottoposti penalizza drasticamente, e inevitabilmente, la qualità di una corretta informazione. Essere più informati non significa automaticamente essere meglio informati. Può sembrare un paradosso, ma non lo è. Associato alla superficialità di certi mass media c'è poi il discorso della privacy: minori e, finanche, bambini impiegati impropriamente in spot e campagne pubblicitarie illimitate che vengono talvolta ripresi e rilanciati su giornali, Tv e Internet senza alcuna protezione o filtro. Non solo bambini, comunque. In questo senso il primo esempio che viene in mente, anche perché strettamente legato allattualità, è quello dei poliziotti italiani che hanno fermato e ucciso a Sesto San Giovanni l'autore della strage del mercatino di Natale a Berlino: immediatamente dopo i fatti abbiamo visto la velocità con la quale sono stati resi pubblici i nomi e i volti di questi due agenti, senza pensare ad eventuali ripercussioni future per la vita di queste persone. Il motivo è presto detto: l'enfasi data dai media alla 'caccia all'uomo' scatenata dagli inquirenti nei giorni successivi all'attentato terroristico aveva portato ad una frenesia quasi isterica all’interno del circo mediatico nazionale nel momento della 'neutralizzazione' del soggetto in questione. Del resto qui si aveva a che fare con un appartenente all'autoproclamato stato islamico, e non con criminali comuni. A onor del vero i primi a rivelare lidentità degli agenti sono stati membri delle istituzioni e quindi la frittata, per così dire, era già stata fatta, ma l'esercito dell'informazione ha subito preso la palla al balzo, pubblicando le foto di queste due persone e diffondendo persino qualche informazione sulla loro vita personale. 
Last but not least, cavalcare le paure anziché governare le emozioni o, peggio, creare vere e proprie psicosi sociali di massa del tutto inopportune e ingiustificate sono di frequente gli spiacevoli 'effetti collaterali' di questa ipertrofia di mezzi di comunicazione, i quali combattono tra di loro sempre più sul terreno del sensazionalismo e del colpo ad effetto. Ecco che la logica dello show business va a braccetto con quella dell'audience, ed il cerchio si chiude perfettamente, in deroga all’ottemperanza di criteri deontologici propri della professione giornalistica, oltre che del buon senso.

giovedì 17 novembre 2016

L'Italia non è (più) un Paese per giovani

“Beati voi giovani che avrete più di noi e dei vostri padri!”: quante volte abbiamo sentito questo ritornello pronunciato dai nostri nonni e, in generale, da persone della terza età anche solo fino a dieci anni fa. La nostra sarebbe dovuta essere la Generazione fortunata, con migliori prospettive, opportunità, salari d’ingresso, tutele e quant’altro. Tuttavia la realtà che quotidianamente ci troviamo di fronte in Italia non corrisponde per nulla a questo quadro idilliaco: la stessa rivoluzione digitale, la cosiddetta new economy e il suo settore high tech non sono state sufficienti a garantire occupazione e benessere crescenti, con buona pace di tutti quei mezzi di comunicazione di massa che ancora si ostinano ad affermare il contrario. Ce lo conferma anche l’ultimo rapporto della Caritas che sancisce chiaramente come la povertà in Italia sia inversamente proporzionale all'aumentare dell’età. Tradotto: tanto più si è giovani, tanto meno, mediamente, si è privilegiati, e, quel che è peggio, questo trend è destinato a crescere ulteriormente in futuro. Come se non bastasse poi i numeri dell’organo pastorale della Cei mettono in luce anche un altro punto assai significativo: rimangono in numero maggiore gli stranieri a chiedere aiuto ai centri di assistenza della Chiesa cattolica (57,2% sul totale), ma, in controtendenza rispetto al dato nazionale, nel Mezzogiorno sono gli stessi cittadini italiani a rivolgersi con più assiduità rispetto agli immigrati. In questa parte della Penisola, infatti, il 66,6% di chi si appella alla Caritas è nato in Italia. Un’Italia sempre più povera e diseguale insomma. Indigeni ed extracomunitari, la più parte molto giovani, sembrano dunque essere accomunati da un medesimo destino, permeato da precarietà e incertezza. Non il miglior viatico questo per assicurare la mobilità sociale e il ricambio della classe dirigente. L'Italia, ammesso lo sia mai stata, non è più un Paese per giovani.

martedì 25 ottobre 2016

Teatri d'opera: un sistema che non funziona

Teatri d’opera italiani: non ci sono i soldi per andare avanti. In Italia, infatti, solo tre enti lirici sono riusciti ad avere un bilancio in pareggio o in attivo nell'ultimo anno. Si tratta della Scala di Milano, del Regio di Torino e de La Fenice di Venezia. Come mai tutte le altre fondazioni liriche, fra cui figurano nomi prestigiosi come il San Carlo di Napoli, il Comunale di Bologna, il Regio di Parma, il Carlo Felice di Genova, il Petruzzelli di Bari e altri, non navigano in buone acque? I motivi sono molteplici: da un lato i tagli operati in questi ultimi anni da parte del Ministero dei beni culturali nel finanziamento agli enti lirici. A questo proposito nel 2016 il MIBAC ha stanziato per i primi quattordici teatri d’opera italiani 183 milioni di euro, una cifra inferiore rispetto ai 191 milioni spesi nel 2011. Basti pensare che, notizia di questi giorni, l’opera di inaugurazione della stagione del Carlo Felice di Genova (“La Rondine” di Puccini), prevista per il 9 novembre non andrà in scena. Dalla fondazione del teatro ligure fanno sapere che la cancellazione dello spettacolo è dovuta al mancato stanziamento dei fondi previsti a sostegno delle istituzioni culturali dalla legge Bray (Ministro dei beni culturali nel governo Letta), a causa di una serie di intoppi burocratici. Il testo normativo prevedeva un finanziamento di 13 milioni di euro per il Carlo Felice. Quindi, anche in questo caso, il bizantinismo della legislazione italiana ci ha messo il suo zampino. Inoltre secondo alcuni, il modello di gestione economica dei teatri, dovrebbe seguire quello americano, incentrato sul finanziamento privato. A sostegno di questa tesi ci sono i casi della Scala e del Regio di Torino, proprio due dei teatri con il bilancio non in passivo, che hanno tra i loro sponsor importanti imprese o banche private (Finmeccanica, Intesa Sanpaolo ecc.). In aggiunta ci sono anche altri fattori che possono influire su questo stato di crisi dei teatri d’opera italiani. Ad esempio, il costo eccessivo dei biglietti: al San Carlo di Napoli per avere un posto in platea bisogna sborsare dagli 80 ai 100 euro, quasi 90 al Carlo Felice. A tal fine bisognerebbe ridurre il prezzo dei tagliandi, perché così, ovviamente aumenterebbero gli spettatori e, seguendo il già citato modello americano, a cui si aggiungerebbero i finanziamenti del ministero della cultura, le entrate non diminuirebbero. Inoltre sarebbe necessario aumentare l’interesse per la  lirica e la musica classica in generale da parte dei giovani. In questo senso la scuola e i mass media dovrebbero valorizzare questo importante ambito culturale, in modo tale che nei prossimi anni i teatri d’opera non rimangano vuoti.

venerdì 7 ottobre 2016

Cervelli in fuga

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Proprio nel momento un cui le polemiche politiche riguardanti l’accoglienza di profughi e migranti economici in Italia e in Europa sembrano aver raggiunto il loro apice, per contrappasso continua ad accentuarsi l’esodo di giovani e meno giovani dal nostro Paese verso l’estero: secondo il rapporto recentemente pubblicato dalla Fondazione Migrantes (organismo pastorale della Comunità Episcopale Italiana), infatti, nel solo anno 2015 hanno lasciato il Bel Paese 107.529 persone, con un aumento del 3,7 % rispetto all’anno precedente. In totale ammonterebbero a 4.811.163 i nostri connazionali residenti all’estero e iscritti all’AIRE (Anagrafe degli italiani all’Estero), con una mobilità aumentata del 55% nell’ultimo decennio. In sostanza, osserviamo, il numero di popolazione straniera in regola residente ad oggi in Italia (di poco superiore alle 5 milioni di unità) equivale all’incirca al numero di connazionali che vivono e lavorano stabilmente all’estero. Segnale inequivocabile che sempre più spesso i giovani italiani (la fascia d’età maggiormente coinvolta da questo flusso migratorio è logicamente quella dai 18 ai 34 anni) si trovano costretti a fare scelte di vita obbligate e a tentare di costruire il proprio futuro lontano da casa. Per qualcuno di questi la scelta sarà certamente dettata da opportunità personali e professionali appaganti ed economicamente vantaggiose, tuttavia per la maggioranza si tratta, come detto, di una vera e propria necessità. Una spia della profonda crisi economica e sociale in cui si è imbattuta l’Italia negli ultimi anni, incapace di garantire lavoro e prospettive di vita finanche alle sue menti migliori, giovani e brillanti neolaureati che non trovano spazio e opportunità nell’angusto e spietato mercato del lavoro. Interessante infine notare poi che non siano più solamente i Paesi europei (Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna, Svizzera e Belgio su tutti) le mete privilegiate, ma ci sia sempre più spinta verso il Sudamerica. In questo senso la parte del leone è esercitata dal Brasile. Il gigante verdeoro, infatti, è il Paese che negli ultimi dieci anni ha registrato il maggior incremento netto (+ 151 %) di immigrati italiani, la cui cifra totale di residenti in loco iscritti all’AIRE ha raggiunto le 373 mila unità. Una dimostrazione tangibile dei tempi che cambiano, ma anche, se vogliamo, un ritorno su scala ridotta al passato, in particolare agli albori del secolo scorso, con i trolley al posto delle valigie di cartone e smartphones e tablets come compagni di viaggio hi-tech.  

domenica 10 luglio 2016

Viaggio nella Antica Palestina tra passato, presente e futuro


Un nostro inviato è appena ritornato da un viaggio in Terrasanta: ecco le sue entusiastiche impressioni!

Una meta suggestiva e al tempo stesso inquietante: la Terrasanta. Sappiamo i problemi politici presenti in quest’area geografica, ma il gioco vale la candela. Gerusalemme, capitale di Israele e rivendicata dall’Autorità nazionale palestinese, è una città con monumenti legati alla storia delle tre grandi religioni monoteistiche (Ebraismo, Cristianesimo e Islam). Basti infatti pensare alla Città Vecchia con i luoghi legati alla storia di Gesù e della Madonna (Basilica del Santo Sepolcro, la Chiesa della tomba della Vergine Maria) o al Muro del Pianto, con gli ebrei intenti a pregare sui testi sacri o alla Spianata delle Moschee, parte della città sacra ai musulmani come anche ai cristiani. In questo luogo Gesù scacciò i mercanti dal Tempio. Inoltre non molto distante da Gerusalemme si trova Betlemme, la città, appartenente all’Autorità palestinese e separata da un imponente muro, che ha dato i natali a Gesù, con la chiesa della Natività o della grotta del latte. Ma i luoghi suggestivi non finiscono qui. Nei pressi di Gerusalemme, infatti, c’è il Mar Morto con le sue acque calde, posto a una depressione di 400 metri, luogo di turismo estivo con i suoi imponenti alberghi e villaggi turistici. Poi c’è Jaffa, località marittima posta nell’area metropolitana di Tel Aviv, per certi versi simile a Gerusalemme. Nelle sue strade si possono trovare chiese cristiane e una moschea, nonché edifici antichi risalenti a diversi periodi storici. Infine qualche parola da spendere per Tel Aviv, la capitale economica di Israele, città ultramoderna con uno skyline formato da tanti grattacieli, presenti anche a ridosso delle spiagge, che rendono simile questo tratto di costa mediterranea alle spiagge di Copacabana a Rio de Janeiro o alla Costa del Sol in Spagna. Certo, come già accennato all’inizio, la tensione tra israeliani e palestinesi è palpabile e il dispiegamento della polizia israeliana, assieme alla presenza di telecamere di sorveglianza, è imponente al fine di prevenire eventuali attentati. Tuttavia, in certi casi, le divergenze politiche possono venir meno davanti al turismo: “Business is Business” e, ad esempio, si possono trovare nel quartiere musulmano della Città Vecchia dei negozi nei quali si vendono oggetti sacri della religione ebraica (Kippah, Menorah ecc...). L'esperienza nei principali luoghi della Antica Palestina, punto di incontro tra Oriente e Occidente e luogo di ritrovo di tre religioni, lascia dunque in eredità il fascino di questi territori traboccanti di storia con tutte le loro contraddizioni e divisioni che persistono ancora oggi. Divisioni che speriamo possano essere, in un futuro non troppo lontano, definitivamente superate.