“Beati voi giovani che avrete più
di noi e dei vostri padri!”: quante volte abbiamo sentito questo ritornello
pronunciato dai nostri nonni e, in generale, da persone della terza età anche
solo fino a dieci anni fa. La nostra sarebbe dovuta essere la Generazione
fortunata, con migliori prospettive, opportunità, salari d’ingresso, tutele e
quant’altro. Tuttavia la realtà che quotidianamente ci troviamo di fronte in
Italia non corrisponde per nulla a questo quadro idilliaco: la stessa rivoluzione
digitale, la cosiddetta new economy e
il suo settore high tech non sono
state sufficienti a garantire occupazione e benessere crescenti, con buona pace di tutti quei mezzi di comunicazione di massa che ancora si ostinano ad affermare il contrario. Ce lo conferma
anche l’ultimo rapporto della Caritas che sancisce chiaramente come la povertà
in Italia sia inversamente proporzionale all'aumentare dell’età. Tradotto: tanto
più si è giovani, tanto meno, mediamente, si è privilegiati, e, quel che è peggio,
questo trend è destinato a crescere ulteriormente in futuro. Come se non bastasse poi i numeri dell’organo pastorale della Cei
mettono in luce anche un altro punto assai significativo: rimangono in numero maggiore gli
stranieri a chiedere aiuto ai centri di assistenza della Chiesa
cattolica (57,2% sul totale), ma, in controtendenza rispetto al dato nazionale, nel Mezzogiorno sono gli stessi cittadini italiani a rivolgersi con più assiduità rispetto agli immigrati. In questa
parte della Penisola, infatti, il 66,6% di chi si appella alla Caritas è nato
in Italia. Un’Italia sempre più povera e diseguale insomma. Indigeni ed
extracomunitari, la più parte molto giovani, sembrano dunque essere accomunati da un medesimo destino, permeato da precarietà e incertezza. Non il
miglior viatico questo per assicurare la mobilità sociale e il ricambio della
classe dirigente. L'Italia, ammesso lo sia mai stata, non è più un Paese per giovani.
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